L’importanza della supervisione professionale dei mediatori familiari

E’ importante riconoscere e chiarire che durante la carriera professionale di ogni mediatore familiare si attraversano momenti critici e si incontrano situazioni problematiche, pertanto è opportuno ricercare forme di “supervisione” adatte a sé, che permettano sia di apprendere dall’esperienza propria e altrui, attraverso una discussione e uno scambio di idee, sia di affrontare serenamente la propria pratica professionale.

Appena formati e prima di poter accedere all’esame finale che, se superato, darà accesso ad AIMeF (Associazione Italiana Mediatori Familiari) si viene seguiti da un mediatore familiare esperto (con almeno 3 anni di iscrizione ad una associazione professionale di mediatori familiari che come AIMeF sia iscritta al MISE, secondo le più recenti disposizioni della L. 4/2013), che ha il compito di accompagnare l’allievo nel mondo della mediazione familiare e di aiutarlo a radicare la formazione teorico-esperienziale maturata in aula nella realtà lavorativa quotidiana.

Il tirocinio supervisionato prevede che ogni allievo riesca a sviluppare le seguenti cinque aree di competenza:

– capacità di formulare ipotesi di mediabilità

– riconoscimento delle tecniche di mediazione

– auto-monitoraggio delle prestazioni eseguite

– sviluppo e miglioramento delle abilità operative

– equilibrio emozionale e relazionale.[1]

Questa forma di accompagnamento alla pratica, o tirocinio supervisionato, della durata di 40 ore (da svolgersi attraverso l’osservazione e la discussione di casi condotti da mediatori familiari esperti, o la conduzione di casi da parte dell’allievo sotto la supervisione del responsabile del tirocinio), è necessaria per poter accedere ad AIMeF e poterne diventare socio.

Il responsabile del tirocinio, quindi, deve essere in grado di fornire un’esperienza di crescita personale e professionale di alta qualità all’interno del modello operativo insegnato dalla scuola o dall’ente di formazione presso cui opera.

Successivamente all’iscrizione ad AIMeF, ogni mediatore familiare deve poter continuare a sviluppare le proprie capacità personali e professionali, anche attraverso incontri di supervisione professionale.

Per AIMeF la supervisione professionale è fondamentale per:

assicurarsi che le famiglie riceveranno un servizio di qualità;
• garantire che il professionista soddisfi gli obiettivi e gli standard fissati da AIMeF;
• garantire l’attuazione delle politiche e delle procedure AIMeF;
• migliorare la comunicazione interna di AIMeF;
• condividere le responsabilità tra associati;
• facilitare la ri-iscrizione annuale dei soci mediatori familiari;
• assistere i soci nella comprensione dei valori organizzativi, della direzione in cui l’organizzazione sta andando e su come ogni singolo socio possa contribuire personalmente;
• promuovere la comunicazione tra AIMeF e i soci;
• garantire che i soci con incarichi sociali abbiano un carico di lavoro gestibile e appropriato;
• rispettare il Codice Deontologico AIMeF.

Ci sono modalità di supervisione differenti a seconda dei ruoli assunti dal supervisore:[2]


Tabella 1

Modalità e ruoli per condurre incontri di supervisione

ModalitàScopoNatura della
Relazione
DocenteTrasmette schemi
concettuali globali e dimostra le tecniche.
Genera entusiasmo e
fornisce un ideale o un modello.

L’ascoltatore può
scegliere di non
sintonizzarsi, di
diventare un accolito, o di stare ad una
distanza media di
impegno con il
docente.

Insegnante

Presenta gli obiettivi
specifici e contenuti
all’interno di un
programma per la
competenza o la
padronanza.
Sovraordinata, di
subordinazione.

Revisore del caso

Recensioni incentrate sul riconoscimento
degli eventi della
seduta di mediazione e di guida per le
interazioni future coi
clienti/utenti.
L’anziano mediatore
trasmette esperienza ai più giovani, meno
esperti.
Gruppo di pari
Consultazione con
mediatori allo stesso
livello di preparazione per ottenere supporto o per una revisione
critica che non metta
in pericolo la carriera.
Intimità e fiducia
condivisa.
Monitoraggio
Mantenere gli
standard e assicurare l’esecuzione delle
linee guida.
Censore: censura e
corregge.
Psicoterapeuta Aiuta ad apprendere la prospettiva e gli
interessi del cliente.
Modello di sicurezza e di fiducia in cui
dubbi e speranze
riescono ad essere
espresse senza
conseguenze esterne.
Coach
Si concentra sul
collegamento tra la
formazione esplicita o semantica (di
contenuto) con la
conoscenza
procedurale, mentre
costruisce fiducia e
speranza, correggere
con benevolenza.
Professionista anziano di fiducia che ha già
vestito i panni del
mediatore meno
esperto; può essere un co-mediatore.
Educatore
Consente ai mediatori di raggiungere
competenze,
costruisce abilità di
intervento di livello
superiore, e stabilisce un’identità mediativa.
Un ruolo
sovraordinato (e
inclusivo degli altri
ruoli) che è attento a
vedere che la crescita cognitiva ed
emozionale proceda al passo con lo sviluppo delle competenze.

La supervisione professionale, in sintesi, per AIMeF è un servizio da garantire ai propri associati in quanto:
• garantisce al socio chiarezza e competenza circa il proprio ruolo, funzioni e responsabilità;
• aiuta il socio a riflettere, analizzare e valutare la sua pratica;
• fornisce un feedback costruttivo;
• garantisce coerenza nella pratica;
• valorizza e valuta il lavoro del socio, professionista mediatore familiare;
• promuove la salute e il benessere del socio;
• imposta limiti professionali chiari;
• costruisce la fiducia in se stessi;
• identifica i bisogni di apprendimento;
• aumenta la trasparenza e l’apertura all’interno dell’associazione.

E’ documentato che la conoscenza e le competenze professionali nelle professioni d’aiuto non siano così facilmente trasferibili.[3]Osservare le sedute di mediatori familiari con esperienza di lavoro è senza dubbio uno strumento di formazione utile, ma non è sufficiente per aiutare chi ha appena acquisito la formazione a sviluppare le competenze necessarie per diventare essi stessi mediatori familiari esperti.

Lo sviluppo di nuove competenze ed abilità è facilitato quando il mediatore si impegna in riflessioni critiche sulle tecniche osservate e sul rapporto tra professionista e clienti/utenti, nonché sulla supervisione stessa. Oggi è chiaro come la supervisione professionale sia un complesso scambio tra supervisore e supervisionato, con modelli di modelli e teorie di supervisione sviluppate per fornirgli un’adeguata cornice strutturale.

Il rapporto di supervisione deve essere un rapporto tra partners, ovverosia è possibile definirlo come segue:

“Il rapporto di supervisione professionale AIMeF è un processo continuo, e non un episodio isolato o erratico, per incoraggiare e coinvolgere e non per mettere in crisi il supervisionato, per riconoscere le buone prestazioni e i successi personali, ma anche per affrontare sfide e discussioni quando è necessario, per chiarire ruoli e responsabilità del mediatore ed evitare di ingenerare confusione. Occorre per identificare le risorse necessarie, e mai verranno fatte al supervisore o al supervisionato richieste eccessive o fuori luogo. Ha lo scopo di dare un indirizzo allo sviluppo professionale del supervisionato.

La supervisione dovrà essere strutturata, focalizzata, progettata e privata. Mai svolta di fretta o con interruzioni. E’ riservata e confidenziale sulle tematiche specifiche del mediatore supervisionato, fatta salva la sicurezza di terze persone o personale.

La supervisione professionale AIMeF è un processo bi-direzionale e non unilaterale, incentrato sulle esigenze individuali dei supervisionati e non dovrà concentrarsi sulle esigenze del supervisore. Il mediatore supervisionato non deve sentirsi ignorato o privo di sostegno, ogni situazione verrà affontata con sensibilità, semplicità e chiarezza. Per il supervisionato dovrà risultare motivante e non farlo sentire negativo o essere demoralizzante, deve rispettare anche le questioni relative alla diversità (personale, professionale, sociale, culturale e soprattutto di modello operativo).”

Riservatezza
Il supervisore deve conoscere gli obblighi etici a tutela dei clienti per aiutare e proteggere i soci da denunce di mala-pratica professionale, ai sensi della normativa vigente.

La riservatezza nei confronti dei clienti non è violata durante la supervisione, anche se vi è una chiara responsabilità di garantire che le discussioni di supervisione abbiano luogo in una stanza privata, piuttosto che un luogo pubblico.

Nel caso in cui il socio sia già in una situazione di violazione della deontologia professionale o stia affrontando una circostanza grave all’interno della propria pratica professionale, è necessario che il supervisore chieda un collegio di supervisori e che abbia il supporto della Commissione Etica AIMeF.

Problemi comuni che impediscono di ottenere una supervisione efficace:[4]
• disagi e dissapori tenuti segreti e poi espressi tutti in una volta
• incontri non pianificati, troppe cose in programma, e incontri senza chiaro scopo
• preparazione inadeguata da parte del supervisore o del mediatore supervisionato
• obiettivi poco chiari o irrealistici
• raccontare piuttosto che ascoltare
• mancanza di un commento costruttivo sulle prestazioni riportate
• abuso e cattivo uso del potere, ad esempio bullismo, molestie, vittimizzazione
• permettere interruzioni
• finire il tempo a disposizione senza aver finito la supervisione
• casi mal presentati, pochi casi o casi mal registrati
• problemi emotivi irrisolti
• concentrarsi sulla gestione del caso piuttosto che su un obiettivo di sviluppo

L’atteggiamento del supervisore

Il comportamento del supervisore deve essere noto al supervisore stesso (cfr. Tabella 2).


Tabella 2


Comportamento Proattivo

Comportamento Assertivo

Mostra empatia

Utilizza il linguaggio del corpo per
indicare l’ascolto, per esempio
annuire, dire: “vada avanti”,
“mhmh”, “sì…”

Mantiene un buon contatto visivo

Verbale – aperto, interessato,
curioso

Corpo – rilassato, postura aperta

Tono – fermo, piano

Esprime sentimenti

Fa domande per la ricerca di informazioni

E’ flessibile sull’uso dei tempi

Consente il silenzio

Non ha fretta di porre domande

Utilizza risposte aperte

Evita di lamentarsi

Utilizza storie e aneddoti

Voce – chiara, precisa, scandita,
ferma


Tono – forte, costante, calmo, con
enfasi

Corpo – dritto, equilibrato

Postura eretta

Guarda negli occhi, faccia a faccia

Linguaggio: “Penso…” “Sento…”
“Voglio…”

Stretta di mano forte

Usa gesti per sottolineare ciò che
afferma

Utilizza dichiarazioni chiare e
concise

Respirazione regolare

Ascolta il ritmo dell’incontro

Sfida (se è il caso)


Si concentra sui dettagli

E’ importante saper scegliere lo stile comportamentale più adeguato al modello di supervisione, lo stile assertivo è più adatto al supervisore di esperienza, invece lo stile proattivo è migliore con i gruppi di supervisione e le attività di supervisione centrate sulla relazione e sul supervisionato, un buon uso di entrambi gli stili è necessario al supervisore-educatore.

Modelli di supervisione

Modelli di supervisione di matrice psicoterapeutica

La supervisione professionale ha avuto inizio in ambito psicoterapeutico, con la pratica di osservare, assistere, e ricevere feedback. In questo modo, la supervisione segue il quadro di riferimento e le tecniche della specifica teoria, o modello di psicoterapia, praticata da supervisore e supervisionato.

Quando la necessità di specifici interventi di supervisione divenne evidente, vennero sviluppati vari modelli di supervisione all’interno di ciascuna di ciascuna teoria per rispondere a questa esigenza. I modelli di supervisione di matrice psicoterapeutica, in altre parole, spesso sembrano una naturale estensione della terapia stessa.

Approccio psicodinamico. La supervisione psicodinamica si basa sui dati inerenti a tale orientamento teorico (ad esempio, le reazioni affettive, i meccanismi di difesa, il transfert e il controtransfert, ecc).

Frawley-O’Dea e Sarnat[5] classificano la supervisione psicodinamica in tre categorie: a) centrata sul paziente, b) centrata sul professionista supervisionato, e c) centrata sulla matrice di supervisione.

In quella centrata sul paziente il ruolo del supervisore è didattico, con l’obiettivo di aiutare il professionista supervisionato a capire e trattare il paziente. Il supervisore è visto come l’esperto non coinvolto, che ha conoscenze e competenze per aiutare il professionista supervisionato, dando così notevole autorità al supervisore. Poiché il focus è sul paziente, e non sul professionista supervisionato o sul processo di supervisione, si verifica poco conflitto tra supervisore e supervisionato, purché essi interpretino lo stesso orientamento teorico nello stesso modo. Questa mancanza di conflitto o di stress nelle sessioni di supervisione spesso riduce l’ansia del candidato, rendendo più facile l’apprendimento. Al contrario, se il conflitto si dovesse sviluppare con questo modello, la supervisione potrebbe essere ostacolata dal non avere modo di poterlo trattare direttamente. Anche in mediazione familiare è comune questo modello di supervisione professionale, dove il mediatore esperto non coinvolto nel caso, aiuta il mediatore familiare supervisionato meno esperto nella conduzione del caso stesso. Entrambi sono formati allo stesso modello di mediazione familiare, sovente il supervisionato è un ex-allievo del supervisore.

La supervisione psicodinamica centrata sul professionista supervisionato diventa popolare nel 1950, concentrandosi sul contenuto e il processo di esperienza del supervisionato, ovvero sulle resistenze, le ansie e i problemi di apprendimento del professionista supervisionato. Il ruolo del supervisore in questo approccio è ancora quello del autorevole esperto non coinvolto, ma poiché l’attenzione si sposta alla psicologia del supervisionato, la supervisione, utilizzando questo approccio è più esperienziale che didattica. Può stimolare la crescita professionale e personale del supervisionato come risultato della comprensione dei suoi propri processi psicologici, ma questo stesso vantaggio può anche essere una limitazione in quanto rende il professionista altamente suscettibile allo stress dell’essere sotto esame. Anche questa forma di supervisione professionale viene utilizzata in mediazione familiare, soprattutto nelle scuole di formazione, durante la formazione, il tirocinio e dopo il tirocinio con gli ex-allievi che volessero proseguire nel loro “lavoro personale” e liberarsi dagli “agganci emotivi” che conducono alla perdita dell’imparzialità.

La supervisione centrata sulla matrice di supervisione introduce anche l’esame della relazione tra supervisore e supervisionato: il ruolo del supervisore non è più quello dell’esperto non coinvolto, ma quello di partecipare, riflettere, agire nel processo e interpretare i temi relazionali che sorgono all’interno sia delle diadi terapeutiche, sia di quelle di supervisione. Questo tipo di supervisione è condotto più raramente nelle scuole di mediazione familiare, ma è anch’esso presente e diventa necessario nei rapporti di supervisione professionale di lunga durata.

Il modello femminista di supervisione. La teoria femminista afferma che “il personale è politico”, ovverosia che le esperienze di un individuo riflettono gli atteggiamenti e i valori istituzionalizzati della società. Ne consegue che le linee guida etiche, secondo il Feminist Therapy Institute[6] che è stato il primo ad occuparsi di supervisione secondo questo modello, sottolineano la necessità per i supervisori e i professionisti supervisionati di riconoscere le differenze di potere nel rapporto cliente-professionista e di lavorare per modellare un uso efficace del potere personale, strutturale e istituzionale. Questo modello di supervisione in mediazione familiare è molto utile in quanto da un lato aiuta a centrare il lavoro sulle dinamiche di potere nella negoziazione degli aspetti personali, di coppia, genitoriali e familiari, dall’altro lato permette di rilevare questioni di strumentalizzazione del servizio di mediazione e del mediatore familiare stesso da parte dei clienti. E’ importante anche per un maggior lavoro di autoconsapevolezza delle dinamiche di potere elicitate dal mediatore nei confronti dei clienti e della relazione mediatore-clienti, più o meno consapevolmente. La relazione supervisore-supervisionato si sforza di essere egualitaria per quanto possibile, con il supervisore attento all’empowerment del collega supervisionato.

Supervisione cognitivo-comportamentale. Un compito importante per il supervisore cognitivo-comportamentale è quello di insegnare le tecniche di orientamento teorico. La supervisione cognitivo-comportamentale si avvale di cognizioni e comportamenti osservabili, particolarmente circa l’identità professionale del professionista supervisionato e la sua reazione al cliente. Le tecniche cognitivo-comportamentali utilizzate nella supervisione comprendono la fissazione di un ordine del giorno per le sessioni di supervisione, il collegamento con le sessioni precedenti, l’assegnazione di compiti al mediatore supervisionato e brevi sintesi formulate dal supervisore.

La supervisione centrata sulla persona. Carl Rogers ha sviluppato la terapia centrata sulla persona attorno alla convinzione che il cliente abbia la capacità di risolvere in modo efficace i problemi della sua vita senza l’interpretazione e la direzione del counselor. Allo stesso modo, la supervisione centrata sulla persona presuppone che il professionista supervisionato abbia le risorse per svilupparsi efficacemente come counselor o come mediatore. Il supervisore non è visto come un esperto in questo modello, ma piuttosto come colui che “collabora” con il collega supervisionato. Il ruolo del supervisore è quello di fornire un ambiente in cui il supervisionato possa aprirsi alla sua esperienza ed essere pienamente impegnato con il suo cliente. La qualità della relazione è il fattore determinante nei risultati: facilita l’apprendimento efficace e di crescita professionale. [7]

Modelli di supervisione basati sulle teorie dello sviluppo

In generale, questi modelli di supervisione definiscono stadi progressivi di sviluppo del professionista supervisionato, da Principiante ad Esperto. Ogni stadio ha caratteristiche e abilità distinte. Ad esempio, dai supervisionati all’inizio della loro carriera, o allo stadio di principiante, ci si aspetta che abbiano competenze limitate e manchino di fiducia in se stessi come professionisti, mentre i supervisionati nello stadio intermedio potrebbero avere più abilità e fiducia ma avere sentimenti contrastanti circa il percepito di indipendenza/dipendenza dal supervisore. Da un professionista supervisionato allo stadio finale, quello di esperto, ci si aspetta che utilizzi buone capacità di problem-solving e che sia in grado di auto-analizzarsi e riflettere sia sulla pratica esercitata che sul processo di supervisione.

Per i supervisori che adottano questi modelli, la chiave di utilizzo è quella di identificare accuratamente la fase attuale del professionista supervisionato e di riuscire a fornirgli feedback e supporto adeguati alla sua fase di sviluppo, mentre allo stesso tempo occorre facilitare la progressione del supervisionato stesso alla fase successiva. A tal fine il supervisore utilizza un processo interattivo, spesso definito come “impalcatura”, che incoraggia il professionista supervisionato ad utilizzare conoscenze e competenze già possedute per la produzione di conoscenze e competenze nuove. Come il supervisionato raggiunge padronanza nella competenza oggetto del lavoro di supervisione, il supervisore sposta gradualmente l’impalcatura al fine di integrare le conoscenze e competenze acquisite nella successiva fase più avanzata. In tutto questo processo, non solo si presta attenzione all’acquisizione di nuove competenze, all’informazione e alla consulenza, ma anche all’interazione tra supervisore e supervisionato per favorire lo sviluppo di avanzate capacità di pensiero critico. Anche se il processo di sviluppo, come descritto, apparirebbe lineare, in realtà esso non lo è, perché il professionista supervisionato può essere in diverse fasi contemporaneamente; cioè ad esempio, può essere a un medio livello di esperienza generale, ma provare ancora molta ansia di fronte a una situazione nuova coi clienti.

Modello di Sviluppo Integrato. E’ uno dei modelli su cui esiste maggiore ricerca scientifica. Sviluppato da Stoltenberg et al.[8], descrive tre livelli di sviluppo del professionista:

  • Livello 1) I supervisionati sono generalmente neo-professionisti, ad alto contenuto di motivazione, ma molto ansiosi e hanno paura delle valutazioni;
  • Livello 2) I supervisionati sono professionisti di medio livello e sperimentano livelli di fiducia e di motivazione fluttuante, spesso collegano il proprio stato d’animo al successo con i clienti; e
  • Livello 3) I professionisti supervisionati sono sostanzialmente sicuri, stabili nella motivazione, hanno un’empatia accurata moderata dall’obiettività, e utilizzano nell’intervento capacità meta-professionali.

Il Modello di Sviluppo Integrato sottolinea la necessità per il supervisore di utilizzare competenze e approcci che corrispondano al livello del candidato. Così, per esempio, quando lavora con un livello 1, il supervisore deve bilanciare l’elevato livello di ansia e di dipendenza ed essere di supporto, ma anche prescrittivi, mentre quando supervisiona un livello 3, sottolinea l’autonomia del professionista supervisionato e si impegna in una supervisione fra pari, in gruppo. Se un supervisore ha costantemente fornito risposte disadatte ai bisogni e al livello di sviluppo del collega supervisionato, il probabile risultato è di significative difficoltà per il supervisionato di padroneggiare in modo soddisfacente il suo livello di sviluppo attuale. Ad esempio, un supervisore che esigesse un comportamento autonomo da un livello 1 rischierebbe di intensificarne l’ansia.

Modello di Ronnestad e Skovholt. Nella revisione più recente (2003) [9], il modello è composto da sei fasi di sviluppo. Le prime tre fasi (l’aiutante laico, lo studente alle prime armi, e lo studente in fase avanzata), le restanti tre fasi (il principiante, il professionista con esperienza, e il professionista di alto livello professionale) sono tre fasi che riguardano la carriera professionale e sono quelli che interessano i professionisti mediatori, come lo sono i mediatori familiari associati ad AIMeF.

Oltre al modello che come osservato non si allontana da quello dello Sviluppo Integrato ma aggiunge solo le tre fasi pre-professionali, Ronnestad e Skovholt hanno contribuito al tema della supervisione professionale con uno studio ampio e meticoloso che ha divulgato 14 temi fondamentali:

  1. Lo sviluppo professionale comporta una crescente integrazione del sé professionale con il sé personale
  2. Il focus del professionista si sposta drammaticamente nel corso del tempo da interno ad esterno, e poi ancora da esterno a interno
  3. La riflessione continua è una condizione essenziale per l’apprendimento ottimale e lo sviluppo professionale,a tutti i livelli di esperienza
  4. Un intenso impegno ad imparare spinge e alimenta il processo di sviluppo professionale
  5. La mappa cognitiva si modifica: i praticanti all’inizio si affidano ad esperti esterni, i praticanti esperti si basano su competenze interne
  6. Lo sviluppo professionale è un lungo e lento processo continuo,che può anche essere irregolare
  7. Lo sviluppo professionale è un processo permanente
  8. Molti praticanti all’inizio sperimentano molta ansia nel loro vissuto professionale. Nel corso del tempo, l’ansia viene gestita dalla maggior parte dei professionisti più esperti
  9. I clienti sono una delle principali fonti di influenza sul professionista e servono da insegnanti principali
  10. La vita personale influenza il funzionamento e lo sviluppo professionale,per tuttala durata della vita professionale
  11. Fonti inter-personali di influenza spingono avanti lo sviluppo professionale,più delle fonti “impersonali”
  12. I nuovi membri del settore percepiscono gli anziani professionisti e la formazione con forti reazioni emotive
  13. La lunga esperienza,con la sofferenza,contribuiscono ad un accresciuto riconoscimento, accettazione e apprezzamento della variabilità umana
  14. Per il praticante c’è un riallineamento, prima si percepisce come un eroe, poi percepisce i clienti come eroi

Ronnestad e Skovholt segnalano che lo sviluppo del professionista è un processo complesso che richiede una riflessione continua e dichiarano che esiste un rapporto stretto e reciproco tra come il professionista gestisce le sfide e le difficoltà nel rapporto con il cliente, e le esperienze di crescita professionale o di stagnazione.

Modelli integrativi di supervisione

Come suggerisce il nome, i modelli integrativi di supervisione si basano su più di una teoria e tecnica. Dato l’elevato numero di teorie e metodi esistenti, un numero infinito di “integrazioni” sono possibili.

Haynes, Corey, e Moulton[10] descrivono due approcci principali di integrazione: l’eclettismo tecnico e l’integrazione teorica.

Eclettismo tecnico tende a concentrarsi sulle differenze, sceglie da molti approcci, ed è un insieme di tecniche. Questo percorso utilizza tecniche provenienti da scuole diverse, senza necessariamente sottoscrivere le posizioni teoriche che li hanno generati. Al contrario, l’integrazione teorica si riferisce ad una creazione concettuale o teorica, oltre che ad una semplice miscelazione di tecniche.

Modello di Discriminazione di Bernard. Uno dei modelli integrativi di supervisione più comunemente utilizzato e studiato attualmente è il Modello di Discriminazione, originariamente pubblicato da Janine Bernard nel 1979.

Questo modello è complesso in quanto è composto da tre centri di interesse per la supervisione, ad esempio: l’intervento, l’elaborazione concettuale o teorica, e la personalizzazione, e tre possibili ruoli del supervisore cioè: insegnante, terapeuta e consulente.

Possiamo dire che è un modello a nove variabili, in quanto il supervisore può, in qualsiasi momento, rispondere da uno dei nove modi (tre ruoli x tre centri di interesse). Ad esempio, il supervisore può assumere il ruolo di insegnante mentre si concentra su un intervento specifico utilizzato dal mediatore supervisionato nella seduta, o il ruolo di consulente pur concentrandosi sulla concettualizzazione del lavoro operato dal mediatore supervisionato. Ciò che importa è che la risposta sia sempre specifica rispetto alle esigenze del collega supervisionato, e che cambi all’interno e tra le sessioni di supervisione.

Il supervisore prima di cominciare la supervisione valuta la capacità del candidato all’interno dell’area di messa a fuoco, e quindi seleziona il ruolo appropriato da cui rispondere. Bernard e Goodyear[11] ammoniscono i supervisori a non rispondere dalla stessa messa a fuoco o dal ruolo di preferenza personale, o per comfort, o guidati l’abitudine, ma per solo garantire la messa a fuoco e il ruolo che meglio incontrano le esigenze più salienti del professionista supervisionato in quel momento.

Il modello sistemico. Nei modelli sistemici, il cuore della supervisione è il rapporto tra il professionista supervisore e il professionista supervisionato. Rapporto che è reciprocamente coinvolgente e volto a conferire potere ad entrambi. Holloway[12]descrive sette dimensioni di supervisione, tutte collegate al rapporto centrale di supervisione. Queste dimensioni sono:

1) la relazione di supervisione,

2) i compiti di supervisione,

3) le funzioni di supervisione e poi

4) il cliente,

5) il professionista supervisionato,

6) il supervisore, e

7) l’istituzione.

La relazione, le funzioni e i compiti di supervisione sono al primo posto dell’interazione, mentre al secondo posto sono le quattro dimensioni che rappresentano fattori contestuali unici e sono influenze segrete nel processo di supervisione. La supervisione in ogni particolare istanza riflette la combinazione unica di queste sette dimensioni.

Conclusioni

AIMeF prendendo atto di quanto sopra ha voluto creare un elenco di Supervisori Professionali, ovverosia di un elenco di mediatori familiari professionisti esperti, che fossero in grado di condurre quel sistematico processo riflessivo atto a che sostenere i soci mediatori AIMeF nella loro la pratica della mediazione familiare, migliorando la loro fiducia professionale, la loro competenza e la loro deontologia professionale, portandoli pertanto ad offrire al pubblico un servizio migliore per la separazione delle coppie e la conflittualità familiare più in generale.

Ogni Supervisore Professionale AIMeF presente in elenco è in grado di supervisionare mediatori familiari che utilizzino uno qualsiasi dei modelli di Mediazione Familiare presenti ed approvati da AIMeF, anche se diversi dal proprio.

Ogni Supervisore Professionale AIMeF presente in elenco possiede i seguenti requisiti minimi:

– 5 anni di esperienza dopo l’iscrizione all’AIMeF,

– ha mediato almeno 20 casi,

– ha tenuto almeno 100 ore di formazione teorico-pratica in mediazione familiare, e

– ha frequentato il corso propedeutico per Supervisori Professionali.

Nell’elenco dei Supervisori Professionali AIMeF verrà indicato sia il modello di mediazione familiare che il modello di supervisione professionale adottato, cosicché gli associati possano trovare sia forme di supervisione professionale, sia il supervisore più adatto alle loro esigenze e affrontare serenamente la loro pratica professionale di successo.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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J.M. Bernard & R.K. Goodyear, Fundamentals of clinical supervision, (4th ed.), Allyn & Bacon, 2009

S. Dunsmuir & J. Leadbetter, Professional supervision: guideline for practice for Educational PSychologists, The British Psychological Society, 2010

C.A. Falender & E.P. Shafranske, Clinical supervision: a competency-based approach, American Psychological Association, 2004

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M.G. Frawley-O’Dea, J.E. Sarnat, The supervisory relationship: a contemporary psychodynamic approach, Guilford Press, 2001

J. M. Haynes, G. Corey & P. Moulton, Clinical supervision in the helping professions: a practical guide. Pacific Grove, CA: Brooks/Cole, 2003

 A.k. Hess: “Psychotherapy supervision: a conceptual review”, in Hess, Hess & Hess (a cura di): Psychotherapy supervision, John Wiley & Sons, II ed. 2008, pp. 3-22

E. Holloway, Clinical supervision: a systems approach. Sage, 1995

E. Lambers, Supervision in person-centered therapy: facilitating congruence. In E. Mearns & B. Thorne (Eds.), Person-centered therapy today: New frontiers in theory and practice, Sage. 2000, pp. 196-211

M.H. Ronnestad & T.M. Skovholt, T. M. The journey of the counselor and therapist: Research findings and perspectives on professional development. In Journal of Career Development, 30, 2003, pp. 5-44

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C.D. Stoltenberg, B. McNeill, & U. Delworth, IDM supervision: an integrate developmental model for supervising counselors and therapists, Jossey-Bass, 1998

Note nel testo

[1] S. Dunsmuir & J. Leadbetter: Professional supervision, British Psychology Society, 2010.

[2] A.k. Hess: “Psychotherapy supervision: a conceptual review”, in Hess, Hess & Hess (a cura di): Psychotherapy supervision, John Wiley & Sons, II ed. 2008, pp. 3-22.

[3] C.A. Falender & E.P. Shafranske, Clinical supervision: a competency-based approach, American Psychological Association, 2004.

[4] AA.VV.: Effective supervision in social care. Practice guidance, resource pack and toolkit for sopervisors, Lambeth Specialist Servicies, UK.

http://lambethchildcare.proceduresonline.com/pdfs/resource_pack_toolkit_supervisiors.pdf

[5] M.G. Frawley-O’Dea, J.E. Sarnat, The supervisory relationship: a contemporary psychodynamic approach, Guilford Press, 2001

[6] Feminist Therapy Institute (1999). Feminist Therapy Code of Ethics. Retrieved August 14, 2009. http://www.feminist-therapy-institute.org/ethics.htm

[7] E. Lambers, Supervision in person-centered therapy: facilitating congruence. In E. Mearns & B. Thorne (Eds.), Person-centered therapy today: New frontiers in theory and practice, Sage. 2000, pp. 196-211.

[8] C.D. Stoltenberg, B. McNeill, & U. Delworth, IDM supervision: an integrate developmental model for supervising counselors and therapists, Jossey-Bass, 1998.

[9] M.H. Ronnestad & T.M. Skovholt, T. M. The journey of the counselor and therapist: Research findings and perspectives on professional development. In Journal of Career Development, 30, 2003, pp. 5-44.

[10] R. Haynes, G. Corey & P. Moulton, Clinical supervision in the helping professions: a practical guide. Pacific Grove, CA: Brooks/Cole, 2003.

[11] J.M. Bernard & R.K. Goodyear, Fundamentals of clinical supervision, (4th ed.), Allyn & Bacon, 2009.

[12] E. Holloway, Clinical supervision: a systems approach. Sage, 1995.

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ISSN 2704-6273

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